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Testa di Dioniso, sezione con testa e braccio destro sollevato

Autore

ignoto

Datazione

primo quarto del II secolo d.C.

Collocazione

Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Provenienza

collezione di Margherita d’Austria

Tecnica e dimensioni

Originale

scultura intera in marmo bianco a grana media (pario); testa di Dioniso in marmo bianco a grana fine (pentelico). Dioniso, altezza cm. 226; Testa e braccio, cm. 56

Replica

in scala 1/1, realizzata mediante acquisizione fotogrammetrica da originale per la produzione di un modello positivo ottenuto attraverso macchine a controllo numerico.
Il processo è ultimato grazie a successiva lavorazione delle superfici da parte di scultori specializzati.
La restituzione del materiale originale è una composizione di resina e pietre rigenerate senza ausilio di pigmenti o paste coloranti con marchio e brevetto depositato Opera Naturae Rockwork®

Soggetto iconografico

testa di Dioniso (da Dioniso ed Eros)

Dioniso è il Dio dell’ebrezza e dell’alterazione che libera temporaneamente dagli affanni. Viene raffigurato con in mano un grappolo di uva, simbolo del vino, delle feste orgiastiche e della natura feconda, mentre Eros, Dio dell’Amore e forza propulsiva nel mondo, rappresenta l’amore fisico e il desiderio associato all’estasi. Dioniso incarna la duplicità in tutte le manifestazioni del suo essere: vita e morte, gioia e dolore. Egli è Dio e uomo al tempo stesso, poiché nato da una donna mortale, Semele, e da Zeus. Rappresentando l’incarnazione della forza primitiva della natura nel suo impeto vitale, esattamente come Eros, Dioniso porta in sé la violenza della morte. Nell’iconografia antica il Dio è solitamene rappresentato come un uomo maturo e barbuto spesso ebbro e attorniato da donne e uomini danzanti, immagine che lungo i secoli consolida l’idea dell’ambivalenza e degli opposti. Dioniso racchiude in sé il maschio e la femmina: nelle statue e nei dipinti di origine greca e latina è frequentemente raffigurato con lunghi riccioli biondi che gli ricadono sulle spalle e un incarnato chiaro, imberbe e luminoso, che richiama il tipico candore adolescenziale. Il giovane Dio è qui ritratto con il capo incorniciato da foglie di pampini e corimbi, ma talvolta appare anche coronato di edera, o mentre impugna il tirso, (un bastone alla cui estremità era posto un mazzetto di foglie di edera o di vite) o mentre regge una coppa sacra, attorniato da simboli fallici (ricordiamo che Dioniso era considerato anche il dio della fertilità) e da bestie feroci (come il toro, il leone, il leopardo o la capra, simboli ferini ma anche sacrificali). In quasi tutte le raffigurazioni, lo sguardo del dio appare languido, rapito, invitante e compiacente.

Descrizione dell’opera

Il gruppo scultoreo originario, nella sua interezza, ritrae un giovane Dioniso ignudo, dalle forme morbide e sensuali, stante sulla gamba destra e con la sinistra flessa, mentre alza il braccio destro per sollevare con la mano un grappolo d’uva, mantenendo con la sinistra un piccolo vaso, il kantharos, coppa in cui veniva versato il vino. Dioniso ha un corpo giovanile, impubere, carnoso ma non molle, al suo fianco sinistro un giovane Eros alato che volge a lui lo sguardo e ne echeggia la postura, tranne per la posizione del braccio destro, in quest’ultimo disteso lungo il fianco. Il connubio del vino (Dioniso) e dell’amore (Eros) è sapientemente celebrato in questo gruppo statuario, copia romana di età adrianea di un originale greco del IV secolo a.C.; ma la sezione che qui possiamo ammirare, esplorandola al tatto, riguarda esattamente la testa del Dio, parte del suo braccio destro, del collo e una porzione superiore del petto. La descrizione che segue è dunque relativa a queste parti. Muovendo tattilmente con azioni bimanuali, simmetriche e speculari, dalla sommità del capo, quindi dalla testa di Dioniso coronata di foglie di vite e corimbi, sarà possibile avvertire come essa ruoti verso sinistra e sia lievemente rivolta in basso. L’elaborata acconciatura è articolata in due bande ondulate, che dalla scriminatura centrale si raccolgono sulla nuca in un voluminoso nodo. Da qui sfuggono ciocche sparse sul collo, alcune intrecciate ai due grappoli d’uva pendenti ai lati degli orecchi. Il volto ha lineamenti regolari con mento carnoso; occhi grandi di taglio allungato, con palpebre spesse e taglienti; arcate sopracciliari nettamente definite; labbra morbide e schiuse ad evocare una forma di sia pur composta voluttà. Il braccio destro sollevato rivela una definizione muscolare tornita, naturalistica e accurata, la mano che regge il grappolo d’uva ha una postura naturalmente elegante. La grazia con la quale le dita affusolate trattengono gli acini rientra, per forma e gestualità, entro i parametri estetici di una virilità giovane e delicata.

Cenni sull’autore, sulla tecnica e sullo stile

Non conosciamo con certezza l’autore di questa pregiata scultura, di età adrianea. Tecnicamente il gruppo statuario si offre con superfici polite, levigate, curate e finemente modulate nei volumi e nelle definizioni anatomiche. L’opera rivela una costruzione finissima dell’anatomia del nudo virile di Dioniso. Nel Dioniso originale sono di restauro: il braccio destro con attacco della spalla, mano e grappolo d’uva, oltre ad altri elementi che interessano parti del gruppo statuario qui non replicati. La testa ha di antico la maschera facciale, mentre sono moderni: la calotta, di cui è appena visibile la linea d’attacco sotto la corona di pampini, il naso, porzione delle labbra, le ciocche di capelli sparsi sul collo, le parti inferiori dei grappoli che coprono le orecchie. Sulla scapola destra è anche praticato un foro circolare. La solidità della struttura, la resa metallica, ovvero rifilata nei contorni dei lineamenti, il lavoro di trapano nella capigliatura, profondamente scavata sulle tempie, fanno pensare ad un eccellente esemplare scultoreo dell’età di Adriano. La lucentezza che emana dal marmo pentelico è la finezza della grana vengono in parte restituiti, nella replica, con materiali brevettati che mirano a riportare quelle sensazioni ottiche ed evocazioni tattili percepibili quando accarezziamo un incarnato eburneo. La resa di lievi difformità di superficie, serve a conservare un principio filologico, senza compromettere la visione di insieme del soggetto e la lettura analitica di ogni dettaglio esperibile in questa sezione di scultura.

Autore della scheda: Loretta Secchi

Curatrice del Museo tattile di pittura antica e moderna “Anteros” dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza – Bologna